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Separazione e divorzio: come, dove e dopo quanto tempo

Troppo spesso adoperati come sinonimi, separazione e divorzio sono in realtà di due istituti differenti (pur con innumerevoli similitudini).

In particolare, in Italia non è possibile accedere al secondo se non si sia passati per il primo: per divorziare sono richiesti sei mesi dalla separazione consensuale o un anno dalla separazione giudiziale.

 Laddove, la separazione consensuale è quella nella quale la coppia è riuscita ad accordarsi in anticipo su tutti gli aspetti della divisione dei beni e dell’eventuale mantenimento; mentre la separazione giudiziale è quella nella quale difetta il consenso su uno o tutti questi aspetti, per cui l’unica via che resta è quella di una causa in tribunale.

Quanti modi ci sono per separarsi se c’è accordo?

La separazione consensuale può esplicarsi in tre modi:

  1. si deposita un ricorso congiunto in tribunale(anche per il tramite di un unico avvocato); viene fissata un’udienza davanti al Presidente del tribunale che, dopo aver tentato (solo formalmente) una soluzione alla crisi della coppia, conferma l’accordo. In tal caso, oltre al contributo unificato, le parti devono pagare l’onorario dell’avvocato (o degli avvocati), salvo che uno dei due abbia il gratuito patrocinio
  2. si procede davanti all’ufficiale di stato civile del Comune: in un primo incontro le parti dichiarano di volersi separare e in un secondo (riconvocazione) confermano la decisione, rendendo la separazione definitiva. Per accedere a questa strada l’eventuale prole della coppia deve aver raggiunto la maggiore età, essere indipendente economicamente, non soffrire di handicap gravi; inoltre, l’accordo non deve prevedere spostamenti patrimoniali. L’iter è completamente gratuito (salvo 16 euro a titolo di diritti fissi)
  3. si attua una negoziazione assistita dagli avvocati (anche in presenza di figli e di spostamenti patrimoniali): è imprescindibile il raggiungimento di un accordo da parte della coppia.

In tutti questi tre casi, il giudice (in caso di separazione avvenuta in tribunale), l’ufficiale di stato civile (per separazione in Comune) o gli avvocati (nella separazione effettuata con negoziazione assistita) non fanno altro che prendere atto delle volontà dei coniugi e dell’accordo da essi sottoscritto che viene così “ratificato”: dopo solo 6 mesi è già possibile divorziare…

 Quanti modi ci sono per separarsi se non c’è l’accordo?

Se i coniugi non trovano l’intesa sulle condizioni della separazione, hanno una sola strada: quella della causa in tribunale.

In questa ipotesi però la coppia può divorziare solo dopo un anno dalla prima udienza davanti al Presidente che emette i provvedimenti provvisori.

Si tratta del caso più ostico, alimentato da odi, diffidenze e ostilità, per i quali si rende necessaria la consulenza di un avvocato divorzista (potete contattarli cercando su internet e troverete diversi siti analoghi a questo che riguarda la sola Lombardia)

Quanti divorzi esistono?

Se durante il periodo di separazione viene accertata la riconciliazione dei coniugi il divorzio non è più possibile (per riconciliazione non si intende la semplice coabitazione, ma il ripristino della comunione di vita e d’intenti, materiale e spirituale, che costituisce il fondamento del matrimonio).

Se ciò non accade si divorzia, e valgono le medesime regole viste per la separazione, per cui se sussiste accordo si può divorziare consensualmente in tribunale, in Comune o con la negoziazione assistita; mentre, se non c’è accordo si procede col divorzio giudiziale davanti al giudice.

L’assegno di mantenimento e l’assegno divorzile

La legge prevede che, all’atto della separazione, il coniuge che sta meglio economicamente versi un assegno di mantenimento all’altro coniuge, che diviene assegno divorzile col divorzio.

Tuttavia, se fino a pochissimo tempo si stabiliva il quantum basandosi sul tenore di vita goduto durante il matrimonio, che doveva essere preservato, oggigiorno, oltre che tenere conto delle concrete possibilità del coniuge onerato di tale obbligo e degli eventuali maggiori costi che questi dovrà sostenere, si fa riferimento alle possibilità che il coniuge “indigente” ha di accedere ad un lavoro, cioè di produrre “in proprio” un reddito che gli consenta di uscire dallo stato di bisogno.

Non può chiedere il mantenimento il coniuge che abbia determinato la fine del matrimonio: il comportamento “incriminato” deve essere stato la causa della fine della relazione, e non una sua conseguenza.

Dunque, se la fine dell’amore da parte di uno dei due non comporta alcun addebito, a escludere il mantenimento sono:

  • la violenza: è ricompresa in questa categoria non solo la violenza fisica ma anche quella psicologica e morale, a causa delle quali la vittima si trova in costante posizione di inferiorità rispetto al carnefice, in barba all’uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi
  • l’infedeltà: ribadiamo, se il comportamento, sia reiterato che sporadico, determina la fine del matrimonio rappresenta causa di addebito, ma se esso è avvenuto quando la crisi coniugale aveva già determinato una cessazione dei rapporti tra i due coniugi (e lo si può dimostrare) il mantenimento non è escluso
  • l’abbandono del tetto coniugale: se l’allontanamento dalla residenza familiare viene attuato unilateralmente dal coniuge, cioè senza il consenso dell’altro, costituisce violazione di un obbligo matrimoniale ed è conseguentemente causa di addebitamento della separazione.

L’assegno divorzile segue le medesime regole.

Tuttavia, l’ammontare dell’assegno divorzile non deve essere necessariamente definito su quello corrisposto a titolo di separazione, ma occorre valutare tutti i nuovi elementi dai quali desumere la permanenza o meno dei presupposti economici della corresponsione dell’assegno, come ad esempio:

  1. eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge nei cui confronti si chieda l’assegno
  2. eventuali peggioramenti economici per il coniuge costretto al pagamento (ad esempio un declassamento, o addirittura la perdita del lavoro)
  3. cambiamenti delle condizioni di vita.

La valutazione rispetto ai primi due punti può indurre una revisione delle condizioni di mantenimento (ma l’assegno non può mai essere interrotto o ridotto arbitrariamente di propria spontanea iniziativa); mentre quella sull’ultimo punto può addirittura determinare la perdita del mantenimento.

Ci spieghiamo meglio: la convivenza stabile e duratura (dunque, la nascita di una nuova famiglia “di fatto”) del coniuge assegnatario determina la cessazione dell’obbligo di pagamento.

Allo stesso modo, la nascita di nuova prole per l’ex pagante porterà ad una revisione al ribasso dell’assegno (a fronte delle accresciute esigenze economiche del nuovo nucleo).

I figli delle coppie divorziate

Con o senza addebito, con o senza mantenimento, ciascuno dei due coniugi deve sempre mantenere i figli: chi vi convive, attraverso l’assistenza quotidiana; chi invece non vi convive, con un assegno mensile.

Tale obbligo permane fino all’indipendenza economica dei figli (quindi, non semplicemente al raggiungimento della maggiore età, ma all’acquisizione di un reddito stabile e dignitoso).

La convivenza con l’uno o l’altro genitore è decisa dal giudice, anche sentendo il minore di almeno 12 anni o anche di età inferiore se capace di discernimento.

Di norma, nonostante la separazione e la collocazione dei figli presso uno dei due coniugi, entrambi i genitori mantengono pari diritti e doveri sulla prole: si parla dunque di affido condiviso.

Solo in casi particolarmente gravi (come la violenza a carico dei figli stessi) si procede all’affido esclusivo.

Come si stabiliscono i giorni e gli orari di visita dei figli?

Il coniuge presso cui i figli non convivono ha diritto di visita che non può essere ostacolato o negato dall’altro (pena la revoca dell’affido condiviso): se non c’è accordo, i tempi e le modalità vengono fissati dal giudice.

A chi va la casa?

La casa viene assegnata al coniuge presso cui convivono i figli minori, anche se non è di sua proprietà.

Se la coppia non ha figli la casa resta nella proprietà del legittimo titolare.

Se la coppia era in comunione dei beni, l’immobile andrà diviso o venduto.

Il coniuge che ottiene la casa familiare la perde se si trasferisce, oppure se i figli diventano autosufficienti, o se vanno a vivere altrove.